Internet: cosa sta succedendo ai social?

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Prima Twitter con le censure, poi TikTok con l’istigazione al suicidio e i giochi letali: è questo l’Internet che abbiamo creato? La colpa è dei social network? Siamo davvero sicuri che tutto questo si possa continuare a gestire come è stato fatto fino ad ora?

Sull’utilizzo dei social

Qualche giorno fa ero ospite di una trasmissione e ho citato la RFC 1855 di cui vi riporto la versione italiana. Si tratta delle regole, create ormai nel lontano 1995 per una co-esistenza pacifica in internet. In queste regole di comportamento sulla rete (net-etiquette) sono descritti i comportamenti corretti da adottare per una “vita digitale” serena, ne voglio prendere una tra molti:

Evitate di essere coinvolti in discussioni infiammate (flame wars). Non spedite ne’ rispondete a materiale “incendiario”.

I social oggi sono per lo più pieni di materiale “incendiario”, ossia di discussioni portate avanti con acredine e allo scopo di alimentare il contrasto piuttosto che il confronto civile.Dal punto di vista delle interazioni social, Internet è stato creato per uno scopo ben diverso da ciò che è diventato ora e lo stesso suo creatore, Sir Tim Berners Lee, sostiene che abbia fallito il suo scopo. Il fallimento consiste nel fatto che vi è stata una perdita di controllo nel corretto utilizzo della tecnologia: intendiamoci non stiamo parlando del controllo alla “Grande Fratello”, bensì del corretto controllo sulla pubblicazione dei contenuti.

Nella prima era di internet vi era una verifica molto stringente sul fenomeno delle discussioni: complice soprattutto lo strumento forum che prevedeva moderatori per ogni area di discussione. Quando ti iscrivevi ad un forum ogni post veniva opportunamente controllato e veniva valutato nell’ottica della qualità del contenuto e del rispetto delle regole generali del servizio. I contenuti ritenuti “capziosamente” incendiari, non venivano pubblicati. Il fenomeno poteva far discutere ma permetteva di mantenere una certa qualità e ciò, tra le altre cose, rientrava nei diritti del moderatore che, dopo aver effettuato la censura, doveva motivarne pubblicamente le ragioni.

Era un mondo troppo incantato? Forse ma era sicuramente un mondo più cauto e lo dimostra sempre la RFC 1855 nel capitolo “Linee Guida per i servizi interattivi in tempo reale”, ossia le chat per intenderci.

Non richiedete agli altri utenti informazioni personali quali sesso, età o domicilio. Dopo aver costruito un contatto particolare con un altro utente, queste domande potrebbero essere più appropriate, ma molte persone esitano a dare questo tipo di informazioni a persone che non gli sono familiari.

Si è andati ben oltre dal chiedere sesso, età o domicilio: oggi sulla rete le regole sembrano essersi invertite: c’è una diffusa mancanza di controllo sia sui contenuti pubblicati che sulle modalità di censura ed il fenomeno non riguarda solo i social. Anzi, in un certo qual modo si potrebbe supporre che l’attività eseguita sui social sia il riflesso di quanto avviene nel mondo reale.

Ma allora quali sono i problemi?

Essenzialmente, dal mio punto di vista, i problemi sono tre:

  • C’è  un errato utilizzo degli strumenti informatici di comunicazione di massa. Ad esempio, è sbagliato permettere l’utilizzo di alcune soluzioni social ai bambini: il rispetto dell’età non è solo legato ad un fattore di sicurezza nei contenuti ma anche di consapevolezza nell’utilizzo dello strumento.  
  • Spesso la formazione è assente nei confronti degli strumenti social e delle tecnologie internet (e quindi anche dei rischi). Questo apre il fronte riguardo ai soggetti deputati a fare formazione e sicuramente in tal senso ci dovrebbe essere prima la famiglia e poi la scuola. 
  • Non c’è più proporzionalità nell’utilizzo della tecnologia. Attraversare la strada senza guardare se passa un auto, o guidare inviando messaggi è un chiaro esempio di mancanza di proporzionalità. 

Twitter (e non solo) e la faccenda della censura

La censura applicata all’account di Donald Trump ha fatto molto discutere: tra post censurati, account sospesi e poi cancellati, la discussione si è infiammata sul web, dove inizia e dove finisce la libertà di espressione? E come correttamente ha detto l’amico Andrea Lisi, in un batter d’occhio ci si è trovati davanti a due schieramenti: da un lato i giuristi che difendevano la libertà di stampa e di parola, dall’altro gli informatici che sostenevano che ci sono delle regole su ogni piattaforma e che la violazione di tali regole comporta sanzioni.

Dal mio punto di vista la verità probabilmente sta nel mezzo: gli informatici non hanno torto, internet è nata su delle regole e queste regole vanno seguite. Nella sottoscrizione ed utilizzo del servizio io devo rispettare delle politiche d’uso ma la questione di Twitter è un po’ più complicata e merita di esser esaminata con un minimo di profondità.

Innanzitutto Donal Trump, come presidente degli Stati Uniti d’America, avrebbe avuto il diritto di utilizzare il portale istituzionale della Casa Bianca per pubblicare i suoi comunicati. Un sistema ufficiale, istituzionale che però non può contare su una platea così tanto numerosa come quella di Twitter. Ciò significa che uno strumento non istituzionale viene usato come megafono per raggiungere una grande platea di elettori o potenziali tali. È una distorsione? No, è una scelta ponderata che pone Twitter su un gradino d’importanza più elevato rispetto al portale ufficiale della Casa Bianca.

Attenzione però: ciò non significa che Twitter abbia “il coltello dalla parte del manico”. Perchè, ovviamente, a Twitter fa comodo avere personaggi influenti tra i suoi clienti e ciò comporta che il servizio erogato dovrebbe essere imparziale e opportunamente funzionante. La censura di Trump arriva alla fine del mandato, nel momento di maggior debolezza e a valle di una serie di violazioni già eseguite nel passato. In un articolo de Il Post si legge:

Prima che venisse rimosso, l’account personale di Trump aveva circa 88 milioni di follower ed era lo strumento principale con cui il presidente comunicava sia col pubblico sia con i suoi elettori più fedeli: Trump lo usava soprattutto per diffondere bugie, notizie false, insulti nei confronti dei suoi avversari politici e delle minoranze etniche. Twitter aveva iniziato a segnalare i suoi tweet che contenevano informazioni false fin da maggio, mesi prima delle elezioni.

Fonte: Il Post – “Twitter ha rimosso l’account di Trump”

Indipendentemente dall’opinione politica di ciascuno di noi credo sia ragionevole affermare che ci si trova davanti ad un caso di studio per la sua particolarità. Affidare la parola del Presidente degli Stati Uniti (o di un altro stato) ad un social network, significa lasciare che questo si auto gestisca nella pubblicazione e oscuramento dei contenuti. Ciò potrebbe non essere possibile, il gestore del servizio potrebbe non avere la capacità di effettuare questo tipo di attività; potrebbe, certamente, anche essere parziale nell’applicazione della censura.

Conclusioni

Servono urgentemente delle linee di indirizzo comunitario a livello certamente europeo ma soprattutto globali. Linee di indirizzo riguardo l’impiego dei social e il rispetto dei termini d’uso. Ciò tra l’altro non si discosta da quanto già avviene per altri ambiti: pensiamo all’automobile, vi è da superare un esame a seguito di un corso e si subiscono controlli periodici; c’è un’età minima per portare il motorino e un’altra per portare un’automobile. Non è detto che tutto internet debba essere fruibile per tutti da subito.

Non si tratta di istituire un patentino per internet come qualcuno propose anni addietro ma di fare formazione, di fornire agli utenti e ai fornitori di servizio linee guida in merito alla gestione di casistiche particolari come quelle di Twitter. Di operare un controllo stringente sui contenuti e di sensibilizzare gli utenti ad un utilizzo più consapevole, proporzionato e corretto delle tecnologie in questione.

Questa è una sfida titanica: perchè se non c’è qualità nelle informazioni che troviamo ogni giorno sulla rete, la sua stessa utilità sarà messa in discussione ma, cosa più importante, è necessario creare per i giovani un ambiente di confronto più sano e più civile di quanto non sia stato fatto fino ad ora.