PNRR e Pubblica Amministrazione

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Il testo del PNRR, al di là di un’iniziale e comprensibile entusiasmo, sta suscitando molte perplessità tra chi si occupa di semplificazione in una P.A. che è sempre più oggetto di slogan e sempre meno compresa.

Il COVID ha imposto un cambio di marcia alla Pubblica Amministrazione italiana che, francamente, sarebbe dovuto essere raggiunto ben prima. Fate caso ad un dettaglio: era il 1997 quando Vittorio Frosini scrisse la definizione di teleamministrazione citando la cultura francese.

La teleamministrazione consisterebbe invece nella trasformazione degli atti amministrativi in una diretta gestione elettronica, procedendo sulla strada già indicata finta 1978 nel progetto francese di un’informatizzazione della società

V. Frosini, “La Democrazia nel XXI secolo”, LiberiLibri editore, 2010

È una definizione importante, che ci fa comprendere molto bene quanto l’Italia sia indietro rispetto a quel ventennio (anni 70-90) in cui sembrava esserci stata un’accelerazione importante. La Pubblica Amministrazione, nel 2021, soffre ancora di gravi condizioni di mancata informatizzazione rappresentata non tanto dalla carenza infrastrutturale (gravemente presente ancora in molte parti del Paese), quanto dalla mancanza di consapevolezza del Personale per carenti percorsi formativi e ancor più carenti meccanismi di responsabilizzazione.

Il ruolo di AgID

Se nel PNRR il termine semplificazione ricorre come tema centrale, nella realtà vi è una lotta intestina contro una burocrazia mai veramente combattuta dallo Stato, semmai talvolta resa più complessa da azioni francamente molto difficili da comprendere. In un post molto interessante dell’amico Andrea Lisi, su LinkedIn, si discute del ruolo di AgID sempre più controverso.

Ad AgID a volte vengono tolte le competenze per affidarle a ministeri, tavoli tecnici, cabine di regia e altre volte viene riconosciuta l’autorità di vigilanza che gli compete e che prevede la possibilità di irrogare multe. Ma per irrogare una multa bisognerebbe mettere in condizione le Pubbliche Amministrazioni di essere “nel giusto”. Di avere, pertanto, una strada chiara da seguire cosa che, invece, non accade.

La PA e l’uguaglianza dei processi

Le Pubbliche Amministrazioni nel Paese spesso svolgono compiti uguali tra loro su regioni differenti e l’autonomia regionale, che in molti casi è un ostacolo invece che un vantaggio, rappresenta uno dei principali elementi ostativi per una semplificazione e una successiva digitalizzazione.

Gli uffici di protocollo, ad esempio, seguono spesso procedure differenti anche quando le attività svolte sono identiche e allora perchè non creare un iter unico? Perchè non indicare a queste P.A. in che modo eseguire il loro lavoro e solo nel caso di non ottemperanza, irrogare una sanzione?

Non si tratterebbe di “limitare” l’autonomia regionale ma, al contrario, di esaltarla; si tradurrebbe nella capacità di realizzare quel determinato processo nel rispetto delle peculiarità territoriali di una determinata regione rispetto ad un’altra.

Il mito degli open data

C’è il capitolo, tanto per fare un ulteriore esempio, degli open data tanto cari ai politici ma spesso poco utilizzabili da cittadini ed imprese. Quando si cerca di fare un’analisi comparativa ci si rende conto che i set di dati messi a disposizione per regione differisce in qualità, quantità e persino in data di aggiornamento. Inaccettabile considerando che questi dati oggi possono essere uno strumento utile per ridurre burocrazia e migliorare i servizi al cittadino.

Viene quindi da domandarsi lecitamente come sia possibile che una regione possa arrogarsi il diritto di produrre meno open data rispetto ad un’altra, offrendo meno informazioni ad aziende e cittadini e come mai tali dati spesso siano fermi al 2014 o al 2016 piuttosto che aggiornati al 2021. Perchè il cittadino deve obbligatoriamente rivolgersi a fonti di dati private di cui non conosce l’attendibilità?

Conclusioni

Ci si dimentica che la parola semplificazione parte dai processi: ossia dallo studio dei processi burocratici al fine di ridurne l’impatto lavorativo operando su tecnologie che aiutino l’amministrazione pubblica. Risparmio, efficienza non sono slogan: sono obiettivi da perseguire con lucidità. Se l’Italia intende perseguire questi obiettivi deve, innanzitutto, mettere in squadra persone che conoscano realmente le attività che quotidianamente sono svolte dalle P.A. centrali e locali.

Esperienze pregresse che hanno visto il coinvolgimento di grandi manager provenienti da realtà private, non hanno portato alcun risultato apprezzabile. Ciò è determinato dal fatto che la P.A. è un’ecosistema complesso, che va compreso tanto nell’ambito organizzativo, quanto in quello tecnico (sia giuridico che informatico). Le riforme degli ultimi anni, orientate al raggiungimento di un livello di semplificazione basato sulla mera applicazione di tecnologie, hanno fallito proprio perchè mutilate della parte di analisi organizzativa.

Ma come si può ottenere una semplificazione quando le principali norme sono scritte in modo tortuoso, opaco e francamente sempre meno leggibile? Si citava il CAD ma non può essere omesso il nuovo codice degli appalti, definito da molti illeggibile e dispersivo.

In Italia gli appalti non partono, abbiamo un codice degli appalti pubblici che da due anni in pratica non viene applicato.

Giuseppe Conte – replica alla Camera dei Deputati sulla fiducia al Governo

Indipendentemente dallo schieramento politico di ciascuno di noi, la frase di Giuseppe Conte merita un’attenta riflessione: vi è un problema a monte che va analizzato con cura. I principali testi legati ad una semplificazione del Paese (il Codice dell’Amministrazione Digitale, il nuovo Codice degli Appalti, il PNRR), invece che uscire in modo più chiaro e comprensibile, sembrano essere più opachi e confusi.

La soluzione? Affrontare la semplificazione con maggiore realismo e consapevolezza: partendo da un’analisi dei processi e creandone modelli da applicare in modo unitario lì dove possibile. Far operare AgID, più che in ottica sanzionatoria, con una prospettiva di formazione orientata ad avere un personale maggiormente capace e competente per interagire con una realtà sempre più informatizzata che merita di esser sfruttata e resa sicura a vantaggio dei cittadini. Assicurare assunzioni meritocratiche, basate sulle competenze e non su eventuali gradi di parentela o di interessi: assicurare quindi un’etica e una trasparenza che da anni vengono reclamate ma che spariscono troppo facilmente.

Modellare i processi uniformi, formare il personale, assumerne di competente e sfruttare veramente in modo concreto l’autonomia regionale sono i passi di cui necessita una P.A. in grado di garantire al cittadino uniformità di risposte e certezze nei tempi.