Intelligenza artificiale ed evoluzione del lavoro

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La credenza per la quale l’intelligenza artificiale causerà una riqualificazione del lavoro è spesso mal riposta. Ciò a causa di una scarsa considerazione del processo alla base della rivoluzione dell’ambito lavorativo: proviamo a riflettere su questo aspetto.

Qualificare il lavoro

Molti lavori sono scarsamente qualificanti, se non addirittura squalificanti. Normalmente tendiamo a considerare tali tutte quelle attività che non richiedono l’impiego dell’intelletto umano e della creatività, ossia tutte quelle professioni che richiedono un’applicazione meramente pratica, in catena di montaggio, non artigianali, e non creative; fanno parte di queste attività anche quelle basate su processi codificati ed elementari anche se appartenenti a sfere professionali più elevate. Stiamo quindi sostenendo che l’intelletto dell’individuo (ossia la sua artigianalità intellettuale) è l’elemento di discriminazione tra un’attività qualificante e un’attività non qualificante.

Si potrebbe pensare che qualificare il lavoro significhi, ad esempio, migliorare il processo lavorativo apportando importanti modifiche nate da buone prassi e analisi compiute dall’osservazione delle attività ma questa definizione, basata per l’appunto sulla mera osservazione, ci porta a considerare l’uomo alla stregua di una macchina all’interno di un’industria. Nel film “La classe operaia va in paradiso”, il protagonista viene cronometrato per ottimizzare il suo rendimento e ogni tipo di variazione peggiorativa a quel rendimento viene respinta e sanzionata e mai compresa.

Non è forse anche questa una qualificazione del lavoro? Evidentemente no.

Qualificare il lavoro significa fornire la possibilità al lavoratore di esprimere al meglio il suo potenziale, mettendolo nella condizione che Toynbee definisce di stress ottimale. Lo stress ottimale è al centro delle teorie sul progresso sociale e non deve essere inteso come una condizione di negatività ma di ricerca. Nel testo “Teoria dell’Organizzazione“, gli studiosi James G. March ed Herbert A. Simon conducono riflessioni in merito, cercando di chiarire il ruolo del lavoro all’interno dell’organizzazione ed il reale potenziale fornito dalla corretta gestione dell’individuo nel contesto lavorativo.

Intelligenza Artificiale e lavoro qualificato

La frase secondo la quale l’intelligenza artificiale migliorerà la condizione dei lavoratori andando a sostituirli nelle attività meno qualificanti è semplicemente sbagliata. L’intelligenza artificiale non migliorerà la condizione dei lavoratori: sarà l’uomo a doverlo fare e dovrà farlo ben prima dell’implementazione dell’intelligenza artificiale.

L’intelligenza artificiale sostituirà l’uomo esattamente come nelle industrie è avvenuto con l’introduzione dei robot ma questo non ha niente a che vedere con la riqualificazione del lavoratore. Il processo di riqualifica richiede infrastrutture, processi, creazione di posti di lavoro, percorsi di formazione strutturati e complessi che vedono l’interazione tra la sfera politica ed il mondo dell’industria. In alternativa, l’introduzione dell’intelligenza artificiale solleverà i lavoratori dai processi dequalificanti facendoli passare da lavoratori dequalificati a disoccupati.

Bisogna fare quindi molta attenzione a questo aspetto: non è l’intelligenza artificiale a risolvere il problema. L’intelligenza artificiale è lo strumento che si adotta per creare le condizioni di cambiamento, ma tale cambiamento deve essere progettato dal livello politico-imprenditoriale del paese.

Qualificare il lavoro ma come?

Friedrich Pollock, collega di Max Horkheimer, fu un filosofo e sociologo che visse a cavallo tra il 1890 e il 1970. I suoi studi si concentrarono sullo sviluppo capitalistico e, di conseguenza, sui meccanismi di sviluppo industriali tra cui quelli di automazione.

Nella fase dell’automazione, le macchine si assumono un gran parte dello stupido e faticoso lavoro di routine, così come, dall’inizio dell’industrializzazione, hanno sottratto all’uomo una parte del lavoro fisico pesante

Friedrich Pollock, 1956

La frase di Pollock pone una condizione essenziale di riflessione: sollevando l’uomo da una parte del lavoro fisico pesante, cosa potrà fare? È chiaro che deve essere ripensata la condizione del lavoratore all’interno del contesto lavorativo. Un primo punto sarebbe quello di convertire il lavoratore da ruolo operativo a ruolo di controllo; questa tra l’altro è una discussione molto nota a chi si occupa di teorie del lavoro e delle organizzazioni. Nel 1964 Robert Blauner, sociologo e autore del libro “Alienazione e libertà. Una ricerca sulle condizioni del lavoro operaio“, chiarisce molto bene questo concetto di cambiamento.

In questi spostamenti dell’accento dalla mansione al processo produttivo, il ruolo del lavoratore passa da quello di fornitore di abilità, a quello di controllore responsabile, e, in questo senso, cresce pure l’ampiezza delle sue operazioni. La tecnologia del processo continuo inverte in tal modo la tendenza di fondo verso una maggiore divisione del lavoro e una più accentuata specializzazione.

Ma a questa crescita di cui parla Blauner dovrebbero corrispondere anche compensi e condizioni di vita e professionali migliori.

Bilanciare l’intelligenza artificiale con quella umana

C’è quindi uno scopo che dovrebbe essere perseguito a livello di governo: quello del bilanciamento tra l’integrazione dell’intelligenza artificiale e quella biologica al fine di raggiungere una condizione di vita e lavoro desiderabile e non usurante. È una condizione nota e per molti versi considerata utopistica ma è necessario precisare che studiosi come Sam Lilley, autore nel 1951 del volume “Storia della Tecnica” e di “Automazione e progresso sociale”, Editori Riuniti, 1957, scrisse quanto segue.

L’automazione rappresenta un altro passo avanti verso la fine della divisione fra il lavoro manuale e quello intellettuale […] man mano che l’automazione progredirà noi potremo andare avanti verso un mondo in cui sia abolito ogni lavoro servile, ogni lavoro ripetitivo, ogni lavoro che richieda soltanto abilità manuale; verso un mondo in cui tutti avranno un lavoro che consentirà loro di usare pienamente le loro capacità manuali ed intellettuali

Il bilanciamento di cui sopra dovrebbe quindi garantire il pieno utilizzo delle capacità manuali ma anche di quelle intellettuali.

Riforma del lavoro

Per arrivare al risultato espresso da Lilley è però necessario creare delle precondizioni senza le quali l’introduzione dell’intelligenza artificiale rischia di creare squilibri e in tal senso le riforme dell’ambito lavorativo sono essenziali. Il Decreto lavoro 2023 contiene, ad esempio, una parte riservata allo sviluppo di nuove competenze. In un articolo de Il Sole 24 Ore, si legge:

Il Fondo nuove competenze è incrementato, nel periodo di programmazione 2021-2027 della politica di coesione europea, delle risorse rinvenienti dal Piano nazionale Giovani, donne, lavoro. Possono concorrere a finanziare il Fondo nuove competenze anche le risorse del programma operativo complementare POC SPAO. Il rabbocco di risorse (ancora non quantificato nella bozza di testo) previsto dal pacchetto lavoro oggi sul tavolo del consiglio dei ministri servirà a finanziare le intese sottoscritte a decorrere dal 2023 ai sensi del comma 1 del citato articolo 88 del decreto-legge n. 34 del 2020. Le intese sono volte a favorire l’aggiornamento della professionalità dei lavoratori a seguito della transizione digitale ed ecologica. Con le risorse del Fondo nuove competenze è finanziata parte della retribuzione oraria, oltre ai contributi previdenziali e assistenziali dell’orario di lavoro destinato ai percorsi formativi.

Tuttavia il problema principale è la creazione di un tessuto di cooperazione forte tra lo Stato e il mondo dell’industria e dell’imprenditoria. Senza di esso difficilmente vi saranno le condizioni per questa attività di riqualificazione.

Conclusioni

Attribuire all’Intelligenza Artificiale un ruolo che non le compete, significa rischiare di fallire l’obiettivo. Se si desidera scongiurare il rischio di uno squilibrio nell’introduzione di tale tecnologia nel mondo del lavoro, è necessario adoperarsi tempestivamente affinché il contesto lavorativo sia pronto a reinvestire le risorse sollevate dai vari ambiti. Immaginare che sia la tecnologia a risolvere questo problema è quindi sbagliato, nonché irrealizzabile: è una competenza che spetta alla politica e al tessuto industriale del paese. L’obiettivo dovrà comunque essere un aumento della qualità nella vita del lavoratore, sia in termini economici che di opportunità. Senza tutto ciò l’offerta lavorativa non sarà competitiva e non troverà una risposta adeguata da parte dei lavoratori. È infine opportuno notare che ancora oggi siamo abituati a misurare la qualità del lavoro con il termine “produttività”, ossia con il profitto generato dalla produzione aziendale. La produzione genera profitto, il profitto genera entrate economiche. Maggiori sono le entrate, maggiore è il profitto, maggiore è la produttività, più alta è la salute dell’azienda…o forse no.

Il termine produttività non tiene conto, infatti, del clima organizzativo. In termini di produttività molte aziende possono ritenersi sane, in quanto i loro bilanci sono in attivo ma lo erano anche i cotonifici che nel 1870 producevano in massa cotone: con turni da 12-16 ore al giorno, in cui lavoravano anche bambini tra i 12-16 anni.

Ancora oggi c’è una difficoltà a comprendere il vero concetto di “clima organizzativo”; sono poche le aziende italiane che si distinguono su questo piano (v. Ferrero, Luxottica e poche altre). Nella maggior parte dei casi, anche quando la ricchezza aziendale è indiscussa, si registrano salari bassi e condizioni di lavoro che non producono benessere e qualifica professionale.

Nota dell’autore

Il motivo per il quale è stato preso, tra le fonti citate, il testo di Sam Lilley “Automazione e Progresso Sociale” è dovuto essenzialmente dalla grande capacità metodologica dell’autore. Pur essendo stato scritto nel 1957, il volume ripercorre le fasi essenziali dell’automazione industriale ma non si limita a questo. Nel volume è riportato un intero capitolo denominato “Verso la fabbrica automatica“; se i Lettori stanno pensando a realtà come Tesla, ecco si tenga in considerazione che Lilley ha scritto il libro nel 1957, ossia ben oltre 40 anni prima della nascita del marchio americano. Chissà cosa avrebbe pensato nel vedere quel sofisticato livello di automatismo. Il libro di Sam Lilley si trova solo usato, è una piccola pietra miliare che consiglio di acquistare.

Titolo: “Automazione e Progresso Sociale”

Autore: Sam Lilley

Editore: Editori Riuniti