L’importanza dell’imperfezione nell’era digitale

Indice

Negli ultimi anni si è affermata una corrente contraria al processo di purificazione derivante dalla digitalizzazione audio/video. È un argomento che gli appassionati di musica ma anche di cinema conoscono bene e ha radici ben più complesse rispetto alle apparenze.

Inquadriamo il contesto

Fu la Sinfonia delle Alpi di Richard Strauss il primo CD-Audio commercializzato e venne prodotto dalla Philips. Il CD ha rivoluzionato non solo il comparto audio ma anche quello video, consentendo di abbattere i limiti di spazio dei vinili e delle cassette, grazie anche all’integrazione con codifiche audio sempre più performanti e impeccabili. Chi ha vissuto l’avvento dei CD si ricorderà il concetto di “suono cristallino” che alcuni produttori decantavano. Nessuna stortura, nessun gracchiare, nessun’imperfezione: solo splendida, chiara e perfetta musica (e successivamente film). Eppure i vinili non sono mai spariti, sembravano condannati all’estinzione ma un articolo di Matteo Runchi intitolato “Cosa c’è dietro al ritorno dei vinili”, riporta un dato interessante.

I vinili vendono più dei CD e negli USA crescono del 21,7% nella prima parte del 2023.

Il vinile non è perfetto, il vinile è assolutamente pieno di piccoli e grandi difetti: tra tutti l’impurità di fondo del suono. Quella impurità che è stata definita “imperfezione” e che per anni è stata “tolta dal mercato”.

In un’intervista fatta a Quentin Tarantino sull’uso del digitale nel cinema, si apprende che il regista rifiuta per lo più il digitale perchè “troppo puro” e tutti quei dettagli possono creare una distrazione per lo spettatore. Tarantino spiega che, ad esempio, nel restauro digitale del film “Rio Bravo” con John Wayne, sono stati aggiunti dettagli microscopici ai fondali che in pellicola non erano visibili. Il punto è che quei dettagli non erano necessari e il fatto di vederli nel restauro distrae lo spettatore dalla scena.

La ricerca dell’autenticità

Cosa è autentico? È una domanda legittima che richiede una definizione di tipo non giuridico. Il vocabolario fornisce una definizione puntuale quale “che è vero, cioè non falso, non falsificato“. In ambito filosofico, per i filosofi esistenzialisti l’autenticità è “la vita vissuta nella consapevolezza della propria vocazione” (Treccani). Insomma, l’autenticità richiede veridicità e consapevolezza di sé: caratteristiche di cui l’intelligenza artificiale non è dotata. Essa non genera, riproduce o “computa” come correttamente sostiene Han. L’autenticità è quindi nell’imperfezione che accompagna l’opera e, nella sua complessità, è in grado di renderla perfetta ed eterna nel tempo come molte opere d’arte.

Cosa rappresenta l’imperfezione

L’imperfezione rappresenta l’uomo. La storia dell’uomo, come prova a spiegare meravigliosamente Bill Bryson in “Breve storia della vita privata“, è un compendio di prove ed errori. Di miseri (e a volte assurdi) fallimenti, seguiti da coraggiosi tentativi di migliorare la condizione dell’uomo; l’imperfezione è l’uomo, fa parte della sua vita e lo contraddistingue. Se la perfezione deve essere parte di un processo operatorio, di un sistema critico, di un macchina di alta precisione, non è necessario che sia presente e permei ogni aspetto della vita umana. L’uomo vive nell’imperfezione di sistemi complessi (si pensi a quello giuridico), grazie al quale è riuscito a creare un complesso mondo di relazioni globali che unisce miliardi di persone. In tal senso il contributo più chiaro lo ha dato Anna Magnani in merito al suo invecchiare.

Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Le ho pagate tutte care. C’ho messo una vita a farmele! […] Ce metti una vita intera per piacerti, e poi, arrivi alla fine e te rendi conto che te piaci. Che te piaci perché sei tu, e perché per piacerti c’hai messo na vita intera: la tua. Ce metti una vita intera per accorgerti che a chi dovevi piacè, sei piaciuta… E a chi no, mejo così. Ce metti na vita per contà i difetti e riderce sopra, perché so belli, perché so i tuoi. Perché senza tutti quei difetti, e chi saresti? Nessuno.

L’imperfezione, allora, è una testimonianza dell’essere e dell’agire umano e come tale deve essere preservata e “fatto notare”.

L’imperfezione nell’era digitale

Il perfetto scenario da presentare in foto. Il testo pregno di significato, con parole altisonanti e intriso di subordinate. L’intelligenza artificiale può garantire risultati epurati da incertezze, sbavature, imprecisioni, ma anche incredibilmente vuoti di significati. In un articolo di giornale ben scritto, quasi mai è la notizia a commuovere o sollecitare la persona, ma il modo in cui è scritta. Le parole spesso sono alterate, sono “intime” e “personali”, sono una firma della mente che le ha partorite e che sta stringendo un patto con il lettore “io ti racconto e tu leggi“.

La ricerca estrema della perfezione in ogni ambito della sfera privata e professionale dell’individuo non è solo una ricerca insensata ma anche de-umanizzante. Allora, forse, più che l’eliminazione “del rumore” è necessario imparare a gestirlo, spiegarlo, mitigarlo quando è pericoloso, esaltarlo quando invece è origine di un’opera d’ingegno umano. Eppure c’è una frase di Severino che merita un’attenzione particolare ed è contenuta in un piccolo volume:

Il Bello è una condizione per arrivare al Bene. Il bello è armonico, il brutto invece è disarmonico, la bellezza può essere intesa come il luogo in cui si manifesta il bene.

Fonte: E. Severino, “Del Bello”, Mimesis, 2011, Pg.10

L’armonia di cui parla Severino che cosa è? È forse quella perfezione computata dall’intelligenza artificiale? È armonia l’imperfezione del corpo umano? O forse per armonia s’intende l’estrema precisione del tratto digitale compiuto dal rendering di un’immagine computerizzata? Il canone di bellezza fu segnato senza dubbio da Policleto, lo scultore greco nativo di Argo vissuto nel V secolo a.C. Secondo Policleto:

Il bello (to kallos) nasce dalla symmetria, ossia dalla possibilità di con-misurare (syn-metrein) estensioni diverse. La symmetria indagata e perseguita da Policleto riguarda – ci dice il medico Galeno – quella “di un dito rispetto a un altro dito, di tutte le dita rispetto al carpo e al metacarpo, di questi rispetto all’avambraccio, dell’avambraccio rispetto al braccio, e insomma di tutte le parti fra di loro

Fonte: Treccani, “Policleto e la misura del bello”

Non è quindi la perfezione della realizzazione ma il rapporto simmetrico complessivo di tutte le parti che, di conseguenza, porta a concludere che la bellezza sia potenzialmente presente in ogni forma umana purchè essa risponda ad un canone di proporzionalità e simmetria. Ma gli stessi greci estendevano la caratteristica di bello e di armonia agli atleti, che venivano considerati superiori agli esseri umani normali, non solo per caratteristiche fisiche ma anche per caratteristiche comportamentali, morali ed etiche che li rendevano un punto di riferimento sociale.

Conclusione

L’estenuante ricerca di perfezione voluta dagli esseri umani attraverso la tecnica è solo in parte giustificata mentre, per lo più, è indice di un transitorio risultato d’inaspettata e breve meraviglia che cede poi il passo ad una sorta di “noia”. Così come in un brano di musica classica si ricerca l’interpretazione del maestro, anche nelle altre parti si pone l’accento sull’autenticità che non richiede perfezione, bensì consapevolezza di sé e umanità.