Come oramai è ben noto a chiunque s’interessi di tecnologia, in Europa esiste un serio problema di competitività rispetto a paesi come U.S.A. e Cina. In Italia, in particolar modo, questa condizione è complessa e nei prossimi anni potrebbe divenire molto impattante.
L’Europa produce pochissime tecnologie, cosa che è stata risolta acquistando soluzioni software e hardware dall’estero. Abbiamo produttori molto famosi come Huawei, Samsung, Cisco, Microsoft, Oracle, IBM ma non abbiamo realtà significative nel “vecchio continente”; se a questo scenario decidessimo di aggiungere l’intelligenza artificiale il risultato peggiorerebbe. Di questo fenomeno ne hanno parlato sia i tecnici che i politici: Draghi, durante la presentazione del rapporto sulla competitività europea (2024) aveva chiaramente detto:
Il fatto è che l’Europa ha avuto un focus sbagliato. Ci siamo rivolti verso l’interno, vedendo i nostri concorrenti tra di noi, anche in settori come la difesa e l’energia in cui abbiamo profondi interessi comuni.
Un ulteriore approfondimento è riportato in questo articolo, nel quale si metteva in relazione il discorso di Draghi con dinamiche politiche e tecnologiche degli altri paesi. Ebbene la situazione, se possibile, si è complicata ulteriormente: in Italia stanno aumentando i movimenti “no data center” come riportato anche in un articolo molto interessante pubblicato da Wired. L’Italia non è nuova a movimenti di questo tipo, vediamone alcuni:
- Coldiretti e Slow Food hanno creato un’alleanza contro la carne coltivata (per approfondire).
- Il Comitato “No 5G” si è formato per ostacolare l’installazione di antenne 5G adducendo motivi legati alla salute (per approfondire).
- PauseAI chiede un’interruzione nello sviluppo dei grandi modelli d’intelligenza artificiale a livello mondiale (per approfondire).
Insomma, lo scenario è ben noto agli italiani: di fronte ad una potenziale fonte d’innovazione iniziano a crescere movimenti di opposizione di ogni tipo e chiaramente questo non è diverso per i data center.
Verità comode e scomode
Ogni paese avrebbe bisogno dei suoi data center, perché è con essi che si può garantire la tanto acclamata sovranità nazionale tecnologica che, per chi non ha ben chiaro cosa significhi di preciso, potrebbe essere definita come il potere supremo di uno Stato di governare autonomamente sul proprio territorio e sulla propria popolazione, senza l’intervento di altri soggetti facendo uso delle tecnologie in proprio possesso. La sovranità nazionale tecnologica non si ottiene a parole ma con fatti concreti tra cui il dotarsi di tutte quelle conoscenze e attrezzature necessarie per risultare indipendenti da altri paesi.
La “verità comoda” è che certamente queste tecnologie presentano problemi iniziali d’integrazione all’interno del contesto sociale: sono quindi effettuati approfondimenti sulla salute, sull’ambiente, sulla sostenibilità ma nonostante i migliori accorgimenti potrebbero rimanere dei fisiologici rischi residuali. Per alcuni movimenti sociali è più comodo escluderne l’impiego o, nel migliore dei casi, limitarne l’uso a “tempi migliori”. Il problema di questo approccio è che spesso viene impiegato anche dopo che sono stati effettuati i suddetti controlli, con le dovute verifiche e le certificazioni di sicurezza da parte di università e istituti indipendenti, per attestarne la reale ed effettiva sostenibilità. Il caso del 5G è uno di questi: per i quali si chiedono continui test, continui approfondimenti, continue verifiche di sostenibilità ambientale e sanitaria.
La verità scomoda è che non c’è quasi mai “tempo” per fermare queste tecnologie. I controlli vengono effettuati ma certamente non in modo ossessivo. La competizione tra paesi è alta, frenetica ma al tempo stesso importante: un paese dipendente dalle tecnologie di altri, è un paese di cui non si può reclamare al contempo la sovranità tecnologica nazionale. La scelta di non avere una tecnologia portante come l’intelligenza artificiale, rischia di compromettere seriamente l’assetto strategico di molte scoperte da essa dipendenti: se l’Italia vuole accettare di essere autonoma e competitiva, deve accettare d’implementare queste tecnologie nel più breve tempo possibile. L’Italia è in forte ritardo rispetto all’estero, nessuno vuole un’implementazione indiscriminata e senza controlli ma nemmeno con vorticosi e costanti movimenti contrari.
Un esempio: il no data center di Bollate

Sì, i data center consumano energia, in questo portale ne parlammo in alcuni articoli tra cui questo:
Vien da sé che un’attività di creazione dei data center dovrebbe essere accompagnata da politiche di contenimento e ottimizzazione energetica ma potrebbe sviluppare anche nuove tecnologie per la produzione ed il risparmio di cui oggi non siamo dotati e di cui però abbiamo bisogno. Un paese con pochi data center non è in grado di farsi carico delle crescenti richieste tecnologiche che portano, ad esempio, le tanto amate scoperte scientifiche nei campi della medicina.
Chi si oppone?
Legambiente, ad esempio, ha ufficialmente preso una posizione contraria in merito alla costituzione di un data center a Bollate. Secondo quanto dichiarato da Legambiente Circolo di Bollate, con la collaborazione dell’esperto scientifico Damiano Di Simine, tra le varie ragioni ci sarebbero anche:
- ridimensionamento di un varco ecologico importante e di un’area utile a mitigare l’inquinamento prodotto dall’A52.
- ulteriore consumo di suolo; un’altra area verde sarà sacrificata, in un contesto nel quale Bollate è cementificata già al 38%, uno dei tassi più alti della Lombardia. È vero che da 40 anni quest’area ha una destinazione urbanistica commerciale artigianale a cui finora è miracolosamente scampata. Ma oggi, a maggior ragione con la sopraggiunta esigenza di mitigare gli impatti della nuova arteria autostradale, è urgente rivedere quella previsione superata, anziché attuarla.
- gruppi di continuità che devono essere testati ogni giorno e che prevedono emissioni inquinanti (probabilmente saranno alimentati a gasolio).
- consumo energetico potente (si prevede un consumo di energia del Data center equivalente a quello dell’intera città di Bollate).
Per correttezza nei confronti di Legambiente Bollate si pubblicano le 3 pagine del comunicato con cui Legambiente fornisce le sue ragioni.



Del Dott. Simine, sul portale “Festa del Bio” si legge:

Vive a Milano con la moglie e tre figli. Responsabile scientifico di Legambiente Lombardia, è dottore di ricerca in biotecnologia alimentare. Attivista di Legambiente fin dai primi anni Novanta, si è occupato a lungo di aree protette e di protezione delle Alpi. Dal 2000 al 2006 è stato presidente della rappresentanza italiana di Cipra, la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi, di cui oggi è membro del board internazionale; componente della segreteria nazionale di Legambiente, con delega sulla tutela del suolo, fino al 2015 è stato anche presidente del comitato lombardo dell’associazione. È ideatore e coordinatore della campagna europea ‘People4soil’ volta a chiedere e ottenere una cornice legislativa europea che riconosca il suolo come bene comune. È responsabile nazionale delle politiche per il suolo di Legambiente.
Alla data del presente articolo, risulta nel Consiglio Direttivo di Legambiente Lombardia.

In occasione dell’opposizione al data center di Bollate, il Dott. Di Simine aveva rilasciato una dichiarazione che viene riportata integralmente:
Ancora una volta, perfino in un territorio di grande congestione urbanistica qual è quello della prima cintura metropolitana, si sceglie di occupare una delle poche aree verdi superstiti per realizzare importanti opere che invece potrebbero meglio localizzarsi su aree dismesse contribuendo così all’azione di risanamento del territorio: non può passare inosservato il fatto che in zona esistono aree dismesse che da decenni sono in attesa di un intervento risolutivo di bonifica. Si devastano preziose aree agricole e si lasciano al loro destino le aree degradate, in un chiaro quadro di assenza di regia metropolitana delle trasformazioni territoriali.
Conclusioni
Dal nucleare alle linee di trasporto, dall’intelligenza artificiale ai data center, in Italia c’è una continua opposizione a qualunque forma d’innovazione senza poi far mancare le critiche per l’asservimento alle tecnologie e alle soluzioni provenienti dall’estero. Il problema è che senza data center non c’è digitale e senza digitale non c’è progresso indipendente; ciò significa che le soluzioni tecnologiche, arriveranno solo ed esclusivamente se i paesi fornitori lo desiderano e nella quantità e misura imposta all’Italia. Questo, tra l’altro, senza contare un contesto geopolitico molto complicato che sta trasformando antiche alleanze e collaborazioni, in scenari con maggiori asperità ed incertezze. A volte, invece che dire “no“, bisognerebbe valutare il “come” perché ciò renderebbe l’attività più costruttiva e meno impattante.